Dieci anni sono un tempo infinito. Infinitamente breve per l’universo
e i suoi moti, infinitamente esteso per chi deve attendere il verificarsi di un
evento, infinitamente deleterio per un film che pensa di annullare il tempo.
Sin City: una donna per
cui uccidere, tratto
dall’omonima grafic novel di Frank
Miller, è il “seguito” di quel Sin City che, circa dieci anni fa, fece letteralmente saltare sopra
le poltrone molti appassionati di cinema e fumetti. L’idea di vedere una pagina
passare dal disegno al grande schermo per mezzo di uno stile visivo del tutto
innovativo, fu come scorgere porte d’infinite possibilità aprirsi
davanti ad increduli occhi.
davanti ad increduli occhi.
Il sogno svanì
quando Miller si fece prendere la mano e, divorziando temporaneamente da Robert Rodriguez, regista di entrambe i
Sin City, si lanciò nella realizzazione del pessimo The Spirit.
L’attesa del secondo
capitolo di Sin City rappresentava da un lato una sorta di riscatto per un’idea
e un esperimento cinematografico che non aveva trovato un adeguato seguito negli
anni successivi, dall’altro l’occasione per rilanciare l’idea di un cinema di
nuova visione che non si fermasse al ludico utilizzo della tecnologia 3D.

Non voglio svelare
nulla della trama di un film che, come si diceva dell’uomo del ‘900, mantiene
comunque un suo fascino e una sua potenza narrativa. Tuttavia l’elemento tempo
è troppo inficiante per non essere considerato una vera e propria zavorra per
la pellicola in questione.
Alcuni potrebbero ritenere
questo commento un’esagerazione, una puntigliosa visione di un tutto più
generale. Probabilmente è così. Inevitabilmente i punti di vista si muovono e
fanno sì che la nostra attenzione si focalizzi sull’uno o l’altro elemento. Tuttavia
mi permetto di insistere sull’importanza del tempo, inteso non nei termini di “Vecchio”
e “Nuovo” (terminologia inappropriata per il mondo dell’arte), ma in quelli di “Datato”
e “Attuale”. Sin City: una donna per cui uccidere, si presenta come un
prodotto aperto che ha fatto un primo strato di muffa: è assolutamente ancora
fruibile ma quel retrogusto amaro resta nella bocca.
Dieci anni sono un tempo infinito. Infinitamente breve per una
civiltà che evolve, infinitamente esteso per chi attende la libertà,
infinitamente deleterio per un’opera che fa sentire troppo in ritardo la sua
voce.
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